Al socio estraneo all’indagine penale non si imputano gli utili neri

Al socio estraneo all’indagine penale non si imputano gli utili neri 150 150 taxlit

di Giorgio Infranca e Pietro Semeraro

a dimostrazione dell’estraneità alla gestione sociale e, soprattutto, al consilium fraudis da cui discende la contestazione in capo alla società, consente di superare la presunzione di distribuzione di utili occulti. In particolare, l’estraneità alla gestione fraudolenta della società è dimostrata dalle evidenze del PVC della Guardia di Finanza e dell’indagine penale condotta dagli stessi militari, da cui emerge esclusivamente il ruolo del socio amministratore e di un suo congiunto nell’ambito della frode fiscale, restando al di fuori da qualsivoglia indagine o contestazione il socio non amministratore, destinatario dell’avviso impugnato.
È questo il principio che si desume dalla sentenza della Corte di Giustizia Tributaria di I grado di Cremona n. 115/1/24 del 17 luglio scorso.

I fatti alla base della vicenda riguardano l’accertamento in capo a una persona fisica, socio al 50% di una srl, unitamente a un altro socio, anch’esso al 50%, il quale rivestiva anche la carica di amministratore.
L’accertamento presupposto, notificato alla società, rilevava la sussistenza di una frode fiscale attuata mediante utilizzo di fatture passive per operazioni oggettivamente inesistenti. La prova della frode fiscale risiedeva, secondo l’ufficio, oltre che nella natura di “cartiera” delle società emittenti, nella presenza di retrocessioni in denaro transitate dal conto corrente del dominus delle cartiere a favore di uno strettissimo congiunto del socio-amministratore (nella fattispecie, il marito).
Il socio non amministratore, ricorrente, si difendeva in giudizio invocando la propria estraneità alla gestione della società, ma soprattutto la circostanza che la frode fiscale contestata alla società, e da cui ha tratto origine l’accertamento in capo ai soci, era univocamente riferita a un comportamento del socio-amministratore e di un suo congiunto, onde la prova, fornita dalla stessa Amministrazione finanziaria, che la ricorrente non solo non ha beneficiato della distribuzione indebita di utili, ma è rimasta anche estranea al meccanismo che li ha generati.

I giudici accolgono la doglianza del socio, affermando che la presunzione di distribuzione occulta degli utili, quand’anche rappresenti ormai ius receptum, necessita pur sempre di elementi di gravità, precisione e concordanza da coniugare con la fattispecie concreta. E, dunque, possono consentire di superare la presunzione non solo le ipotesi di provato accantonamento o reinvestimento degli utili, ma anche tutte le ulteriori questioni che possano concretamente influire nel caso concreto, inficiando la presunzione…

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