di Giorgio Infranca e Pietro Semeraro
Ultimamente sono sempre di più gli studi professionali che valutano l’opportunità di mutare il loro assetto organizzativo, passando dall’associazione professionale alla società tra professionisti.
La scelta può essere dettata da esigenze di maggior certezza nei rapporti fra i soci, dal desiderio di limitare la responsabilità verso i terzi (optando per modelli societari che consentono un’autonomia patrimoniale perfetta), oltre che da esigenze di crescita dimensionale, magari supportata da ingressi nello studio anche di soci investitori.
Fra i modelli societari adoperabili occorre in primo luogo distinguere il modello “generale”, rappresentato dalla società tra professionisti ex art. 10 della L. 183/2011 (STP), dal modello “speciale”, rappresentato dalla società tra avvocati ex art. 4-bis della L. 247/2012 (STA).
Senza poter analizzare compiutamente in questa sede le differenze fra le due forme di società professionali, è sufficiente ricordare che il modello della STA, a dispetto del suo nome, non è riservato esclusivamente ai professionisti della toga. Dopo la riforma attuata con la L. 124/2017, che ha inserito nella legge sull’ordinamento della professione forense (L. 247/2012) l’art. 4-bis, infatti, sono ammissibili le STA multidisciplinari, in cui accanto, naturalmente, ai soci avvocati possono sedere anche soci professionisti iscritti ad altri albi professionali (oltre a soci non professionisti, nel limite massimo di un terzo del capitale).
La preminenza degli avvocati è comunque assicurata dalla circostanza che l’organo di gestione della STA deve essere composto per la maggior parte da soci avvocati (art. 4-bis comma 2 lett. b) della L. 247/2012)…
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