di Giorgio Infranca e Pietro Semeraro
Fra i più rilevanti principi di diritto espressi nella sentenza della Corte di Giustizia Ue dello scorso 26 febbraio, relativa alle cause riunite C-116/16 e C-117/16, in materia di distribuzione di dividendi e abuso della direttiva “madre-figlia” (si veda “La Corte Ue mette uno stop agli abusi dei benefici delle direttive” del 27 febbraio 2019), vi è senz’altro quello riportato al punto 101 della sentenza, dove viene affermato che costituisce indizio dell’esistenza di un abuso della direttiva il fatto che la società madre ritrasferisca i dividendi entro un breve lasso di tempo a soggetti privi dei requisiti per godere dell’esenzione.
In altri termini, la Corte di Giustizia ha affermato che dietro una società madre Ue che si comporta da soggetto “passante” (pur se con riferimento ad elementi reddituali, i dividendi, per loro natura destinati a scalare la catena societaria), si cela una costruzione di puro artificio, non qualificata per godere dell’esenzione da ritenuta riconosciuta dalla Direttiva.
Da ciò discende però, a contrario, che senza redistribuzione dei dividendi da parte della società madre verso soggetti extra Ue, nessun abuso della direttiva sarebbe configurabile, con la conseguenza che l’Amministrazione finanziaria del Paese della società “figlia” erogatrice dei flussi non dovrebbe poter contestare l’omessa ritenuta sui dividendi distribuiti.
Se questa appare la lettura più ragionevole del principio espresso dalla Corte di Giustizia, allora va rilevato che essa si mostra coerente con quanto già affermato dalla Commissione tributaria regionale della Lombardia in una recente sentenza (n. 3001/18/18).
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