di Giorgio infranca e Pietro Semeraro
L’art. 16 del DLgs. 147/2015 riconosce un particolare regime fiscale di favore a quei lavoratori che trasferiscono la propria residenza fiscale in Italia, a condizione che non siano stati residenti nel nostro Paese per almeno 2 anni precedenti al trasferimento e che si impegnino a restare in Italia per almeno 2 anni.
Soddisfatte queste condizioni, i redditi di lavoro dipendente, di lavoro autonomo e di impresa prodotti in Italia dai lavoratori impatriati sono assoggettati a tassazione nel limite del 30% (limite ulteriormente ridotto al 10% in caso di trasferimento in una delle Regioni del Mezzogiorno); l’agevolazione ha durata di cinque anni, prorogabili per altri cinque in caso di acquisto di immobili o di trasferimento con figli minori.
La disciplina in questione incontra notevoli difficoltà applicative con riguardo a quei lavoratori che si trasferiscono in Italia a seguito di un periodo di distacco effettuato all’estero.
In particolare, a differenza dell’antesignana alla disciplina in commento (art. 3 della L. 238/2010 – regime dei c.d. “controesodati”) che prevedeva un’espressa esclusione dal beneficio per i lavoratori distaccati, l’art. 16 del DLgs. 147/2015 non disciplina espressamente la fattispecie.
Sul punto è tuttavia intervenuta una variegata prassi dell’Agenzia delle Entrate, la quale, in un primo momento (circ. n. 17/2017) aveva escluso l’applicazione del regime degli impatriati ai lavoratori rientranti da un distacco all’estero.
Successivamente (ris. n. 76/2018), l’Amministrazione finanziaria aveva “ammorbidito” la propria posizione, ritenendo il distacco compatibile con il beneficio a condizione che il distacco fosse stato più volte prorogato, ovvero fosse stato particolarmente lungo (tale da affievolire i legami del lavoratore con il territorio italiano) e il rientro non si ponesse in continuità con la precedente posizione lavorativa in Italia, assumendo il lavoratore un ruolo aziendale differente, proprio in ragione delle maggiori competenze acquisite all’estero.
In sostanza, secondo la tesi di cui alla risoluzione n. 76/2018, il distacco all’estero sarebbe compatibile con il regime degli impatriati, nella misura in cui la posizione lavorativa assunta al rientro in Italia si ponga in sostanziale “discontinuità” con la precedente posizione rivestita prima del distacco.
Sarebbe questo il caso, ad esempio, di un lavoratore che, dopo il periodo di distacco all’estero, rientra in azienda in una posizione gerarchicamente superiore, acquisita proprio valorizzando le esperienze accumulate durante il periodo di lavoro all’estero.
Con la circ. n. 33/2020, l’Amministrazione finanziaria ha, nei fatti, ristretto nuovamente l’ambito interpretativo; richiamando i precedenti di prassi e, in particolare, la risoluzione n. 76/2018, l’Agenzia ha specificato che la “discontinuità”, necessaria per accedere al regime post distacco all’estero, dovrebbe avere natura “qualificata”, nel senso che presuppone, al rientro in Italia, l’instaurazione di un vero e proprio nuovo rapporto di lavoro…
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